mercoledì 9 novembre 2011

Monte Morrone della Maiella, dal Rif. Colle delle Vacche

Alla partenza, sabato pomeriggio del 15 ottobre al bar Chicca, siamo solo in tre: io, Anselmo e Fabio. Io e Anselmo siamo i direttori di gita con Francesco, che oggi non è venuto perché ammalato, forse per colpa del tempo nevoso della scorsa settimana sul Pizzo Deta. L’escursione di domenica prevede la partenza dal rifugio Colle delle Vacche, dove pernottiamo, arrivando sul monte Morrone con un dislivello di circa 900 m. abbiamo deciso di spalmare l’escursione in due giorni non tanto per l’impegno fisico dell’escursione stessa, quanto questa accumulata al viaggio necessario per raggiungere la meta lontana.
Dalle ultime case di Pratola Peligna si imbocca una sterrata non eccessivamente scomoda ma lunga più di 10 km che ci porta al rifugio.
Arriviamo alle quattro passate del pomeriggio e la signora che gestisce il rifugio, insieme al marito, è appena arrivata e sta accendendo il fuoco e preparando la cucina.
Il Morrone non si vede, nascosto dal fianco della montagna e inghiottito dalle nuvole che ne celano la sommità.
Prendiamo possesso della nostra stanza che scopriamo già occupata da molti grilli che stanno sui muri, sugli armadi e anche sul letto. Dopo aver fatto traslocare i grilli, abbiamo passato il tempo prima di cena a studiare il percorso sulla carta che avevamo, trovando le coordinate dei punti principali e confrontandola con la carta esposta nell’atrio del rifugio.
Il gestore ci propone qualche variante per rendere più interessante il nostro tragitto. Propone la prima deviazione a Iaccio rosso seguendo un sentiero non segnato che porta al Monte delle Croci che è la montagna di Pratola. Da lì, camminando in cresta poi riprendiamo il Morrone, che è la montagna di Sulmona. La seconda deviazione è nella discesa, andando verso l’eremo di S.Pietro per poi tornare al rifugio.
La cena è ottima, specialmente l’arrosto di agnello. Anche il dopo cena si è riempito di spirito di gruppo con scambi alcolici di assenzio e genziana. La serata si è animata per la visita di quattro giovani “indigeni” saliti a cenare al rifugio per scommessa e per la visita di una volpe che si è spinta fino a mangiare dalle mani del gestore, entrando perfino nell’atrio del rifugio.
Siamo andati a dormire che era mezzanotte passata.
La sveglia è per le sette e alle otto siamo pronti; lavati, a stomaco pieno e con lo zaino in spalla, assaggiando l’aria fredda e pungente davanti al rifugio. Il sentiero, che è una carrareccia, sale ripido ma comodo. Passiamo la fonte delle Vacche e arriviamo a Iaccio rosso. Qui la nebbia ci cala addosso e procediamo più lentamente, cartina in mano, cercando il sentiero nel ricordo della descrizione che ieri sera ci ha fatto il gestore e nei sporadici e sbiaditi segni di vernice. Il tempo cupo della partenza peggiora.
Ci consultiamo; ci sembra poco intelligente cercare un itinerario non segnato e che non conosciamo, in quelle condizioni di scarsa visibilità. Decidiamo di prendere il sentiero segnato che porta direttamente al Morrone. Mantenere il sentiero è un po’ difficile perche sono numerosi e trascurati e alcuni segnali risultano essere incongruenti oltre che non essere riportati sulle carte. Il tempo peggiora; la nebbia si infittisce e il freddo è più pungente. Decidiamo di utilizzare il gps per fare il punto della situazione. Ci rendiamo conto che stiamo su di un altro sentiero. Ci consultiamo e, a malincuore rinunciamo alla vetta perché il tempo peggiora e la nebbia comunque ci negherebbe la gioia di quello sguardo all’infinito mentre rincorre l’orizzonte.
Iniziamo la discesa verso l’eremo di S.Pietro che dopo un po’ si intravede lontano. La nebbia scende con noi e ci accompagna fino all’eremo dove incrociamo un gruppo ciclo escursionisti.
Ci fermiamo all’eremo per mangiare qualcosa mentre dall’alto dominiamo la valle di Sulmona e di Pratola.
Riprendiamo il sentiero tornando indietro fino ad un incrocio di sentieri che avevamo già incontrato prima e prendiamo quello a sinistra mentre di fronte ci troviamo quello percorso all’andata verso l’eremo. Attraversiamo un bosco fatto di roccette e faggi fino a un fontanile dove di nuovo il sentiero si divide. Decidiamo di prendere quello che sale anche se non siamo sicuri. Ci conforta cl’idea che tutto al più, se ci siamo sbagliati, la strada è tutta in discesa.
Continuando a camminare, verificando la posizione con il gps, ci rendiamo conto che quello è un sentiero non segnato sulla carta che porta a Iaccio Rosso. Scendiamo verso la quota che indica la carta e alla fine lo incontriamo. È poco segnato e anche qui la vernice è molto sbiadita ma deve essere abbastanza frequentato perché la traccia è evidente. Alla fine ritroviamo la carrareccia dell’andata e poco dopo un chilometro ristiamo al rifugio.
Rimane la soddisfazione di una bella escursione nonostante il tempo, la nebbia e la vetta mancata, insieme ad una accresciuta consapevolezza che senza gps forse oggi ci saremmo potuti perdere

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